Attualità

Gholam Najafi e il viaggio sulla barca della speranza

Francesca Elicio
L'autore racconta tutta la sua storia, da quando ha lasciato l'Afghanistan fino al momento in cui è arrivato in Italia, tra momenti bui e picchi di speranza
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Una barca. Una barca piena di sogni, speranze, paure e incomprensioni. È questa la barca che ha portato Gholam Najafi in quello che è stato il suo viaggio della speranza. Un viaggio verso l'ignoto che non lo ha spaventato, anzi lo ha spinto a non mollare. Con sè non ha dimenticato di portare il suo sorriso timido e una buona dose di ottimismo, che è andata a bussargli ogni volta che la strada verso la tranquillità sembrava sbarrata. 

Gholam si è ritrovato a dover affrontare tutto ciò che nessun uomo sarebbe capace di affrontare: la guerra, un padre trucidato sotto i suoi occhi, gli orrori dei contrabbandieri di uomini, la devastazione, il mare ostile, la natura disonesta. E lui è solo un bambino. Un bambino che oggi ha realizzato tutti i suoi sogni: studiare e farsi testimone. E come afferma la professoressa Rosanna Pellegrini, la narrazione diventa il miglior modo per liberarsi dei dolori</strong>; una terapia che agisce contemporaneamente anche sul lettore, il quale non deve mai dimenticare quei valori di democrazia, libertà e civiltà che non sempre sono garantiti. 

Gholam racconta con commozione la sua storia: «Fino ai vent'anni non sapevo leggere e scrivere. Io amo la letteratura, è un serbatoio che mi ha aperto culturalmente sotto tanti punti di vista. La letteratura non mi fa più intendere come singolo, ma come umanità; ero chiuso, ma grazie agli studi mi sono aperto. Leggevo Dante, Leopardi, cercavo di ispirarmi a loro ma ovviamente so che non sono al loro livello».

Una vita semplice, vissuta come un pastore. Si iniziava a lavorare a 4 anni e a 40 eri già molto anziano. Gholam era a 4 anni già responsabile del suo gregge. Racconta che dopo la morte del padre, lui e gli altri hanno iniziato a vivere sulle montagne o nelle grotte per proteggersi. E così la decisione di andar via. Scappare senza una carta d'identità, come se non fosse mai esistito. I contrabbandieri gli unici uomini che gli hanno permesso di salvarsi. Dall'Afghanista al Pakistan, restando cinque anni in Iran, dove non riusciva a studiare perchè non aveva identità. E per di più con la necessità di nascondere i soldi sotto al letto. In caso contrario, li avrebbero rubati. E lì davvero la vita sarebbe finita. Per lui l'Europa era un miraggio, non sapeva neanche come fosse fatta. Dalla Turchia in Grecia e dopo due settimane in Italia.

«In Italia cercavo la tranquillità e soprattutto volevo realizzare il mio sogno, quello di studiare. La lingua è davvero molto importante per comunicare e i ragazzi di oggi sono davvero fortunati. Io non sapevo nulla. Sono stato fortunato, ho incontrato una famiglia italiana, ho frequentato un istituto alberghiero e mi sono iscritto all'università. Ho lavorato, studiato, scritto e partecipato a concorsi di poesia».

Adesso sta finendo la magistrale e quando può raccoglie aiuti da portare in Afghanistan. E automaticamente si proietta in una nuova dimensione, fatta di differenza tra ieri e oggi. Certo, la guerra c'è ancora ed è anche più cruda. Ma lui rivede tanti giovani ritrovare le proprie famiglie, abbracciarle e baciarle. E la malinconia lo assale: sua madre, dov'è? Da allora, non è stata mai ritrovata. 

E la libertà? «Ho solo capito che esistono tanti tipi di libertà, io non l'ho ancora raggiunta totalmente». Un viso tenero e dolce, tipico di chi ha sofferto ma che, nonostante tutto, vuole vivere. E riesce a lasciare anche spazio all'ironia. 

A dar valore alle sue parole Rosy Paparella, garante regionale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, vittima qualche giorno fa di un sequestro lampo da parte dei ragazzi ospitati in una comunità per minori non accompagnati di Cassano delle Murge. Una storia, la loro, simile a quella di Gholam, una storia di denuncia di diritti rubati. E la battaglia per far vincere quel principio di non discriminazione e di accoglienza, che la città di Ruvo di Puglia sta abbracciando. Lo hanno ricordato l'assessora Filograno e l'assessora Montaruli. Una scelta difficile e non spesso appoggiata dalla cittadinanza, ma che nasconde la voglia di essere la seconda opportunità per tanti migranti senza futuro.

Non solo Gholam. A dare testimonianza anche Dkajari Doumbia. Un sorriso grande quanto il mare, due occhi brillanti, una simpatia contagiosa e una intrapredenza unica. Originario del Mali, è arrivato in Italia dopo un'attraversata dall'Algeria alla Libia. Il suo viaggio a causa della guerra. Sembrava aver perso tutto, ma la vita offre sempre a tutti una seconda possibilità, spesso anche più ricca. Arrivato su una barca, la stessa barca della speranza di Gholam, Djakari studia perchè vuole imparare bene l'italiano. E mentre frequenta una scuola a Terlizzi, coltiva il suo più grande sogno, quello di giocare a calcio. È portiere nel Molfetta e sogna tanto di diventare il nuovo Buffon. E non smette mai di ringraziare la famiglia che lo ha salvato.

venerdì 17 Febbraio 2017

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