Proprio in questi giorni ero in contatto telefonico con Roberto Ragno, un ruvese che vive e lavora a Bristol, nel Regno Unito, per farmi raccontare la sua storia.
Nonostante sia a circa 400 chilometri da Manchester, ieri mi è venuto spontaneo chiedergli un commento sull’attentato che lunedì sera ha ucciso 22 persone – ferendone molte altre, di cui alcune gravemente – all’uscita dal concerto di Ariana Grande, in quella che è la più grande arena indoor d’Europa, ancora colma di giovanissimi accorsi per ascoltare la 23enne icona pop americana. Se si pensa che la vittima più giovane finora identificata aveva solo 8 anni, non si può che essere d’accordo con la Regina Elisabetta quando definisce ciò che è successo “un atto barbaro”. Talmente crudele da indurre persino Andrew Parker, il direttore generale dell’MI5, il noto servizio d’intelligence britannico, a dichiararsi “nauseato”.
«Siamo tutti un po’ sconvolti – mi ha risposto Roberto via messaggio -. Il livello di allerta è molto alto. La città sembra tranquilla, ma abbiamo la consapevolezza che può succedere anche qui».
E se rinforzi di Scotland Yard sono stati inviati sul posto da Londra già nella notte della strage e la premier Theresa May ha immediatamente convocato il Cobra, il comitato di emergenza, a Bristol al momento nulla sembra apparentemente cambiato. Nessun particolare provvedimento o ulteriore controllo. Eppure il timore per un rischio che sembra fin troppo vicino serpeggia a tutti i livelli.
«A lavoro – conclude Roberto – ci hanno mandato una mail ravvisandoci di essere sempre vigili e di riportare qualsiasi attività sospetta.