Attualità

Silvia e Rossella, la gioia di «rendersi utili»

Elena Albanese
Le due volontarie della Caritas cittadina ci raccontano la loro esperienza a servizio dei bambini. L'impegno, la dedizione e l'amore con cui se ne occupano traspare dai loro occhi e dalle loro parole
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Incontro Silvia e Rossella nel piccolo ufficio della sede ruvese della Caritas, dopo aver varcato il portone che si affaccia su corso Giovanni Jatta e aver salito le ripide e strette scale in pietra.

Mi accolgono con un bel sorriso, e subito iniziano a raccontare. Tutti i pomeriggi, dal lunedì al venerdì, si occupano di 13 ragazzi tra i 6 e i 12 anni provenienti da famiglie segnalate dai Servizi sociali del Comune o che si sono rivolte all’associazione per chiedere aiuto. Tra loro una buona percentuale di stranieri, due marocchini e un algerino. Ma non chiamatelo doposcuola. È un vero percorso di sviluppo psico-educativo.

«Ho 29 anni e sono laureata in Lettere, con un Master in Didattica e Psicopedagogia – dice Silvia -. Lavoro come insegnante di sostegno, ma quest’anno scolastico sto ancora aspettando “la chiamata”». Fa volontariato dal 2014, subito dopo aver conseguito la Magistrale. «All’università ti spiegano la teoria, ma non come rapportarsi ai ragazzi, quindi serve anche come esperienza».

Lei ha cominciato con un anno di «volontariato puro», poi con il servizio civile per il progetto “Talenti in rete” e da allora continua a occuparsi di minori. Insieme a Rossella e a un’altra ragazza. «Siamo solo in tre e non è facile», dicono. Ma ce la mettono tutta. E l’impegno, la dedizione e l’amore con cui lo fanno traspare dai loro occhi e dalle loro parole.

Oltre a seguirli nello studio («andiamo anche a scuola al ricevimento con gli insegnanti»), creano per questi bambini un ambiente sereno e accogliente, in cui possano sentirsi accuditi, a volte più che a casa. «Partendo dalla visione del film “Inside out”, abbiamo istituito un gioco sulle emozioni, stabilendo un momento in cui far esprimere loro come si sentono. Una volta presa confidenza con noi, creata un’empatia, si lasciano andare e si aprono. Qualcuno magari scoppia a piangere e ci racconta cosa lo fa essere triste o arrabbiato. Abbiamo anche il supporto di una psicologa che ci dà una mano in caso di necessità».

Ma fanno molto altro ancora. «Festeggiamo i compleanni», dicono mostrando il grande calendario colorato che campeggia dietro di loro, con l’annotazione di nomi e date. E poi li spronano a frequentare attività diverse: corsi di teatro, calcio, piscina, oratori…in modo che possano integrarsi nei rispettivi gruppi e non rimanere sempre fra loro, col rischio di essere “ghettizzati”.

Per chi nel frattempo è diventato grande si cerca di rimanere comunque presenti, di continuare a essere punto di riferimento, perché a volte, finita la scuola media, «qualcuno si perde». Ma di solito si riesce a mantenere «un rapporto da sorelle maggiori».

Insomma, un impegno notevole, fisico e mentale, che spinge a chiedere “Chi ve lo fa fare?”.

«E chi te lo fa fare a stare a guardare la tv?», risponde disarmante Silvia. «Un’occupazione, specie con una laurea umanistica, non la trovi dall’oggi al domani, e stare a casa è deprimente, anche per chi ha studiato. Meglio rendersi utili».

Questo lo si pensa «fino a che non si comincia. Quando inizi, poi non ne puoi più fare a meno.

Oggi i ragazzi ci chiedono più spazio per giocare, vuol dire che stanno bene qui, che vogliono rimanere. E questo ti ripaga di tutto».

mercoledì 4 Ottobre 2017

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