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Marcello Bello: «Mio fratello, vescovo della gente»

La Redazione
"Era un bambino semplice, come tutti. Poi divenne una figura paterna. L'arrivo di Papa Francesco è una gioia per tutti"
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Don Tonino, con occhi di fratello. E stavolta per fratello non si intende una delle migliaia di persone che accompagnarono anche solo un piccolo passo del percorso del nostro amatissimo vescovo, generando un automatico processo di fratellanza. Parliamo di un fratello di sangue. Uno che ne ha condiviso l’infanzia, i problemi, le soddisfazioni, i sorrisi, forse anche le lacrime.

Marcello Bello, medico in pensione, è uno dei due fratelli di don Tonino. Lui e Trifone lo conoscono come forse nessuno. Dalle parole di Marcello emerge orgoglio, ma non è un orgoglio smisurato. Sulla stessa lunghezza d’onda degli insegnamenti del nostro vescovo, è l’orgoglio umile e pertanto più vero e forte di chi incarna un modello e riscontra lo stesso atteggiamento in tutti i fedeli.

È per questo che l’arrivo di papa Francesco prima ad Alessano, poi a Molfetta, per onorare la figura di don Tonino, ha il senso di un batticuore, più che della testa alta; è sguardo verso il cielo, più che dritto negli occhi. “Senz’altro è un momento di grande gioia per tutti – esordisce Marcello –. Il riconoscimento di due persone che, anche se non si sono mai incontrate, hanno amato i poveri e la Chiesa del grembiule. Sono molto emozionato e contento perché un avvenimento così eccezionale (la venuta di papa Francesco in un paese così piccolo, a pregare sulla tomba di mio fratello) difficilmente si verificherà in futuro”.

Molfetta e Alessano si preparano allora come se stessero vivendo il momento topico della loro storia. Chi lo avrebbe detto quel giorno in cui don Tonino accettò la nomina a vescovo? Sarebbe stato difficile prevederlo, eppure c’era qualcosa che rendeva speciale quell’uomo innamorato dei poveri.

“Dopo aver rifiutato altre due sedi episcopali – ricorda Marcello – anche perché era ancora viva mia madre, alla terza richiesta mio fratello non poté più dire di no. Accettò la nomina a vescovo come pastore di anime. Fu lui stesso, inaspettatamente e contrariamente al solito, a recarsi a Molfetta per dare la notizia e conoscere i suoi nuovi fedeli”.

Fu l’inizio di un cammino di immedesimazione totale, di preghiera profonda. “Il mio ricordo più bello – dice ancora – è quando, durante lo sciopero degli operai delle acciaierie di Giovinazzo, si recò, insieme a tutte le autorità, a protestare per il diritto al lavoro. Disse che se avessero arrestato gli operai avrebbero dovuto arrestare anche lui. Il suo pregio migliore? Senza dubbio quello di stare sempre in mezzo alla gente e di condividerne gioie e dolori. Si rammaricava, a volte anche sfogandosi con noi, quando non riusciva a trasmettere le sue idee”.

Non che la cosa fosse frequente. Don Tonino sin da piccolo era riuscito a conquistare l’amore del prossimo. Gli bastava pochissimo. Empatia allo stato puro. “Tonino, fino all’età di dieci anni – continua Marcello – era un bambino semplice, come tutti gli altri: giocava a pallone, con le spade di legno e con tutti quei giochi che ci si inventava nell’immediato dopoguerra. Nostra madre ci aveva educati a un rapporto di stima e di rispetto reciproco. Col passare degli anni la sua figura divenne quasi paterna nei nostri confronti, rispettando però sempre il nostro modo di pensare e a volte accettando anche i nostri suggerimenti”.

Oggi, dopo così tanto tempo, conservare gelosamente il ricordo del nostro vescovo è tutto ciò che serve. La fondazione Don Tonino Bello si pone questo obiettivo, tra le altre cose, e le attività della nostra diocesi per ricordarlo e celebrarlo ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, corroborano decisivamente il senso profondo della vita di Don Tonino.

“Un aneddoto? – chiediamo a Marcello – Decidemmo insieme alla mia famiglia di andare a trovarlo, una sera, nella sua sede a Molfetta. Di solito ci riservava delle stanze. Purtroppo quella volta aveva ospitato degli sfrattati e, quando arrivammo noi, i letti erano già occupati. Ci rimettemmo in macchina e tornammo ad Alessano. La mattina dopo mio fratello Trifone telefonò a Tonino chiedendo se fossimo lì e Tonino rispose che non ci aveva proprio visti”.

Questione di tatto e discrezione, questione di naturale condivisione di princìpi che nella vita di Marcello e Tonino, come lo chiama lui, sono stati più forti di qualunque difficoltà. Principi che oggi devono e vogliono riecheggiare più forti che mai.

“Nonostante siano passati 25 anni dalla sua dipartita – conclude Marcello – i rapporti con la diocesi di Molfetta sono rimasti sempre vivi e cordiali. Quando ero ricoverato in ospedale sono venuti,dimostrando grande affetto e apprensione, il vescovo don Mimmo Cornacchia, don Bebbe, il segretario don Luigi e il vicario della diocesi on Raffaele. Ciò dimostra la grande stima e la profonda comunione che esiste tra di noi”.

Una comunione eterna, una simbiosi che non finisce. Questione di vita. Intensissima vita.

martedì 13 Febbraio 2018

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