Cultura

L’associazione Partecipare diventa una fondazione

La Redazione
«Siccome una presentazione vale più di mille parole», si comincia giovedì alle 18.30 a palazzo Caputi con il racconto della "vera disfida", «514 anni dopo»
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L'associazione Partecipare lancia il suo progetto di fondazione culturale a servizio del territorio e di una città che definisce «letteralmente seduta su un tesoro immenso e in gran parte inesplorato: la sua storia».

Con la mission di scoprire, valorizzare e comunicare, l'obiettivo è portare alla luce e proporre nel dibattito mediatico-culturale locale, nazionale e internazionale un patrimonio per molti versi unico, con progetti mirati, gestiti secondo criteri di efficienza e merito.

La forma giuridica prescelta, quella della fondazione, ha l'ambizione di conferitre stabilità a questo progetto; massa critica per concorrere a bandi importanti e – non secondariamente – la remuneratività e l'indipendenza per attrarre le menti creative e ricercatrici che di solito vengono "regalate" ad altri contesti. «Nella nostra visione – scrivon in una nota i rappresentanti dell'associazione -, la valorizzazione del passato è strettamente connessa alla valorizzazione delle energie del presente, la cui scoperta e ottimizzazione si sono sempre rivelate vitali per le sorti di ogni comunità.

Sullo stesso progetto chiederemo l'attenzione degli organi pubblici e, soprattutto, degli investitori privati più illuminati, interessati a costruire insieme a noi un'antenna creativa e progettuale capace di dare una svolta alla programmazione culturale di lungo periodo, sganciandola dalle inevitabili ristrettezze e urgenze di ogni bilancio pubblico, e mettendola al servizio di una più consapevole identità partecipativa comune».

Dopo più di vent'anni di attività sul territorio, l'associazione mette dunque insieme i suoi asset e li conferisce alla fondazione in un progetto unico e condiviso, che nasce dal basso per portare più in alto la bandiera della cultura nascosta, della storia nascosta, dell'identità nascosta, rendendole patrimonio comune.

«Ma siccome una presentazione vale più di mille parole», hanno pensato di «aprire direttamente il nostro laboratorio virtuale di ricerca, per farvi toccare con mano, anzi con l'anima, quello che facciamo e vogliamo continuare a fare. Dopo, le parole verranno da sé. E magari anche i fatti…».

Per tutti gli appassionati di storia patria, per le menti curiose e creative e per chi ama la ricerca della verità, l'appuntamento – «immancabile!» – è a palazzo Caputi giovedì 23 febbraio alle 18.30.

L'incontro

All’alba del 23 febbraio 1503, la popolazione ruvese arrivò stremata. E non era certo per la stanchezza della cosìddetta Disfida di Barletta, combattutasi secondo la leggenda solo dieci giorni prima.

Si trattava di ben altro: un anno e mezzo di occupazione francese, quattro anni di guerra (tra francesi e spagnoli, ma con noi in mezzo) e tutto quello che ne seguì, le privazioni, gli stenti, la carestia, persino la peste. Nulla ci fu risparmiato. Eppure, il peggio doveva ancora venire. Anzi, era appena arrivato sotto le mura.

L’intero esercito spagnolo al comando di Gonzalo di Cordova. L’incubo peggiore, più orribile, più inaspettato. Dall’alba al tramonto riuscì a penetrare, conquistare e distruggere, letteralmente, la città: la più importante piazzaforte francese. Fu la svolta della guerra. Di una delle guerre più vergognose di sempre. Ma fu anche la ”svolta” terribile e sanguinaria per la vita di tutti i ruvesi, che pagarono a caro prezzo l’unica colpa che avevano: l’essere vittima dei giochi delle “superpotenze” di allora, di un destino cinico e baro come non mai. Molti persero la vita, la salute, l’integrità fisica, la famiglia, i figli, le mogli. Le violenze si accumularono e si accanirono sulla popolazione inerme e disarmata.

Donne, vecchi, bambini e uomini  furono  vittime di stupri, violenze, ricatti e di ogni tipo di oscenità. La città fu incendiata e distrutta. E chi sopravvisse ebbe il destino peggiore: deportato e tenuto o venduto come schiavo.

Cinque secoli dopo, 514 anni per la precisione, la domanda è ancora nell’aria. A volte pare ancora di sentirla, di riascoltare quelle voci, quelle grida selvagge, quelle urla disperate, quel crepitìo che non lascia speranza, ma che è anche grido e un anelito di giustizia. Una domanda che vaga e cerca risposta attraverso il tempo. Come è potuto succedere? Perché? E cosa ci insegna oggi?

La risposta è quanto di più incredibile possano ascoltare orecchie umane. Nascosta da un accurato e roboante depistaggio  fatto di omissioni, travisamenti, nascondimenti, trucchi e parrucchi, Disfide e quant’altro il circo politico-mediatico del tempo consentiva.

Di questo si parlerà dopodomani a palazzo Caputi. Sarà presente il sindaco Pasquale Chieco,  ma l’invito è in particolare, oltre che a tutti gli appassionati e curiosi, anche ai rappresentanti eletti in Consiglio comunale. Perché la storia insegna e non c’è niente di meglio, per evitare errori in futuro, che conoscere quelli del passato.

«Noi, per parte nostra, cinque secoli dopo, figli del nostro tempo privilegiato, l’unico aiuto che possiamo portare a quei nostri antenati è raccontare  finalmente   la loro storia – concludono dall'associazione Partecipare -. E farne tesoro, perché non abbia a ripetersi e il suo duro insegnamento sia di guida per costruire un futuro migliore. Cinque secoli dopo, la vera Disfida è sempre quella della verità».

martedì 21 Febbraio 2017

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