Cultura

Barbara Jatta: «A Ruvo ci sentivamo a casa»

Elena Albanese
In un'intervista esclusiva, la direttrice dei Musei Vaticani sfoglia l'album dei ricordi e racconta le estati della sua infanzia nel nostro paese. «Rimanevamo fino al mio compleanno, il 6 ottobre, e poi si tornava a scuola a Roma»
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«Volentieri dialogo con i ruvesi e per i ruvesi». Così ha risposto Barbara Jatta alla mail con la quale, senza troppa speranza, le chiedevo l'opportunità di questa intervista. L'esperienza mi ha insegnato, ma non mi ci abituo ancora, che le persone all'apparenza irraggiungibili in virtù della loro posizione sociale o professionale, sono in realtà le più umili e disponibili.

La neo direttrice dei Musei Vaticani, discendente diretta della nota famiglia ruvese, lo è sicuramente. Ed è anche una donna con «tante idee per il futuro dei Musei – ci dice -, anche se sono convinta che la strada intrapresa durante la direzione di Antonio Paolucci sia da seguire. L’attenzione alla conservazione, alla manutenzione e ai restauri è pienamente condivisibile e in linea con la mia visione di museo». Una delle priorità secondo lei è «sicuramente la migliore gestione dei numerosissimi visitatori».

Una sfida non da poco quella che la sta impegnando dall'inizio dell'anno, di cui però «non ho paura, non mi spaventa il lavoro, so bene che si tratta di un lavoro impegnativo e che in parte cambierà la mia vita. Già da vicedirettore il lavoro è cambiato, soprattutto per i diversi fronti da dover affrontare».

Molti hanno sottolineato come lei, nominata direttamente da papa Francesco, sia la prima donna alla guida di un'istituzione culturale così importante. «Spero che sia stata una scelta anche sulla persona e sulla mia professionalità – commenta in proposito la diretta interessata -. Non sono mai stata discriminata in 20 anni di Biblioteca Vaticana», precisa, ammettendo però che «è una scelta rivoluzionaria quella odierna, lo capisco, anche se ho sempre lavorato bene e sono stata sempre valorizzata».

Il suo nuovo e impegnativo ruolo comporta anche un riassetto della vita familiare, che però Barbara Jatta affronta con serenità e anche con un pizzico di ironia. «Nel 1988 ho sposato un pediatra, Fabio Midulla, e un pediatra in una famiglia con tre figli aiuta molto… Lui insegna all’Università di Roma ed è primario del Pronto Soccorso Pediatrico del Policlinico Umberto I. Lavora moltissimo, ma abbiamo sempre diviso i compiti, di casa e con i figli. E’ un ottimo padre, e io spero di essere una brava madre». 

Insomma, una bella famiglia. Come altrettanto belli sono i sentimenti che la legano alle sue origini, a suo padre e attraverso di lui al nostro paese. Sentimenti di grande affetto che trapelano dalle sue parole. «Mio padre non c’è più da 19 anni. Sento molto la sua mancanza anche se lui è sempre con me, nei momenti belli come in quelli difficili. Era un avvocato, uno scrittore e un cultore dell’antica Roma. La sua educazione è stata giusta, equilibrata e saggia». L'inevitabile riferimento alla nostra città sembra aprire un vero e proprio album dei ricordi, palpabile come una vecchia foto ritrovata per caso, in cui si riconoscono volti e paesaggi del passato.

«Ho trascorso a Ruvo tutte le estati e molti Natali. Ogni tanto scappavamo dal caldo eccessivo e andavamo a Leuca. Rimanevamo fino al mio compleanno, il 6 ottobre, e poi si tornava a scuola a Roma.

Giravo sempre con mio padre, in campagna e in paese, insieme alle mie sorelle e a mia madre. Eravamo bionde e in pantaloni – parlo della fine degli anni sessanta e inizi anni settanta -, e venivamo viste come “le straniere”, “le romane”, anche se noi ci sentivamo a casa. Poche donne erano in piazza la sera o giravano tranquillamente come noi per il paese. 

Mia nonna, Maria Carignani Jatta, era napoletana, e quando sposò mio nonno gli chiese di costruire un campo da tennis, perché a Napoli praticava questo sport. Nella villa di parco del Conte nonno le costruì un campo che ho sempre saputo essere uno dei primi della Puglia!».

Un legame molto stretto quello con la sua terra dunque, anche se per ovvi motivi le frequentazioni si sono diradate. «Oggi Ruvo è ben diversa. Ci torno quando posso, anche se troppo poco. Ho dei carissimi zii e dei cugini che visito volentieri, anche se negli ultimi anni il mio impegno è stato molto qui in Vaticano…».

Ciononostante, la sua appartenenza a una famiglia da sempre dedita all'arte e alla storia, tanto da fondare un museo, l'ha influenzata non poco nelle scelte di vita e professionali. «Da bambina giravo per le stanze del museo e nella biblioteca. In casa abbiamo sempre parlato di storia romana, di mitologia greca e di storia dell’arte. La famiglia di mia madre, M. Cristina Busiri Vici, è una famiglia di  noti architetti, storici dell’arte, pittori e restauratori. Mio nonno materno era un grande collezionista di dipinti e mia nonna materna una pittrice…

L’arte è sempre stata parte della mia vita».

mercoledì 18 Gennaio 2017

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rino cannili
rino cannili
7 anni fa

sono un ultrasettantenne di Ruvo, e ricordo come ieri di aver visitato, a metà degli anni cinquanta con la scuola elementare, le “ei fu cinque stanze” del museo jatta con il vaso di talos nell’ultima stanza. E’ stata l’unica visita della mia vita del museo, ma che ricordo tutt’ora con nostalgia. Auguro alla signora Barbara un grandissimo “in bocca al lupo” certo delle Sue capacità professionali.