Cultura

I “Terzo animo” e il nuovo look del PalaColombo

Francesca Elicio
I quattro artisti​ hanno realizzato i murales che si possono ammirare all'interno del Palazzetto. «Un bel progetto - dicono -, ma poca gente è venuta a guardare e a dare il proprio supporto​»
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Angela, Carmine, Fidelia e Stefano. Quattro ragazzi, quattro artisti conosciutisi per caso quattro anni fa mentre erano impegnati a realizzare i murales dell’ex biblioteca comunale. Insieme diventano i “Terzo animo”, unione del primo animo, lo stile accademico di cui sono portavoce Angela e Fidelia, e il secondo animo, lo stile di strada portato in campo da Carmine e Stefano. Insieme hanno compiuto un’opera grandiosa: dipingere le pareti del palazzetto di via Colombo. Li abbiamo intervistati per capire meglio come hanno operato.

«Il tema che ci è stato assegnato era libero. Per coerenza abbiamo deciso di rappresentare lo sport e la cultura in genere: musica, arte e teatro. Avendo a disposizione quattro facciate abbiamo deciso di impiegarne due per la cultura e due per lo sport. Per quanto riguarda lo sport, da un lato sono stati rappresentati il calcio, il pattinaggio e il tiro con l’arco; dall’altro basket e pallavolo. Nello spazio dedicato alla cultura invece abbiamo unito arte e musica, mentre in maniera separata abbiamo trattato il teatro».

Ogni parete presenta uno stile diverso, aspetto che contraddistingue i giovani artisti. «Lo stile usato per la parete rappresentante calcio, pattinaggio e tiro con l’arco è contemporaneo, futuristico e personalizzato. Abbiamo preso anche molto spunto dalla notte stellata di Van Gogh, dal teatro di Shakespeare e dall’antichità, le statue prendono vita con uno stile greco-romano».

Il metodo di lavoro è stato alquanto semplice: ognuno di loro ha elaborato un’idea da cui poi è nata la bozza del progetto definitivo. Essendo stili diversi, ognuno ha espresso la propria personalità in una determinata parete. In seguito, su un muro cementato e ripassato con base bianca in quarzo economico, si sono date delle linee guida e successivamente il colore, con tempere e fissante. Il tutto in circa un mese di intenso lavoro.

Un’esperienza da ricordare questa, soprattutto per la sua importanza. Ma non è tutto oro quello che luccica. «Si può dire che con questo lavoro abbiamo avuto un rapporto di amore/odio: come tutte le cose, ti aspetti di farle in un certo modo ma non va mai così. Complicanze durante lo svolgimento ce ne sono state e anche tante. A fine lavoro abbiamo avuto una soddisfazione parziale: un bel progetto sì, ma poca gente è venuta a guardare e a dare il proprio supporto. Per noi artisti è sempre bello avere dei riscontri, che sono mancati. Comunque siamo felici perché il lavoro finale è venuto molto meglio di quanto ci aspettavamo».

Ma la delusione diventa motivo di sconforto o incentivo a fare sempre di più per il paese? «Dopo l’ennesima situazione simile, arriva un po’ di demoralizzazione. Siamo giovani, cerchiamo di rinnovare quella che è la nostra città ed è difficile. L’arte è un bel mezzo, ma c’è poco riscontro perché non tutti capiscono e questo è un paese vecchio mentalmente. Noi ci speriamo sempre, ci diverte fare quello che facciamo e se ce ne danno modo non ci fermeremo mai. Si dice che gli artisti diventano famosi da morti, ed è così: vivono da depressi, si isolano, iniziano ad andare alla rovina e vengono valutati solo una volta andati».

E non manca l’appello ai giovani ruvesi: «Uscite allo scoperto. Non serve per forza pensare che l’artista abbia bisogno di andare fuori; bisogna pensare prima al proprio paese. Se ci uniamo e nessuno è egoista e pensa solo a lavorare per sè, si possono realizzare belle cose».

lunedì 18 Dicembre 2017

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