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Nick Difino, da food-performer a mattatore della malattia. La ricetta della felicità: “Alla salute”

Donato De Ceglie
«Il modo cazzone di fare le cose svanisce, oggi ho difficoltà, lo ammetto. Sta cambiando la forma, la struttura dei miei spettacoli, è cambiata anche la scrittura, tutto. Nulla è più come prima»
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Perché la malattia? Posso cercare la felicità anche durante la malattia? Nicola (Nick) Difino ha girato il foglio della diagnosi dal lato bianco e ha deciso di iniziare a scrivere la sua storia. Non lo ha fatto con le parole tinte d’inchiostro ma con le immagini. Nick è un food-performer barese, ha lo sguardo e il pensiero taglienti come le lame con le quali affetta gli ortaggi di stagione, preferisce definirsi foodj perché nei suoi spettacoli c’è sempre stata tanta musica accompagnata al cibo.

«Ovunque nel mondo si è messo in moto un movimento filosofico che riporta alla ruralità come perno centrale per lo sviluppo umano e io mi sporco le mani tra svolazzi di farina, anelli neri di blues, spolverate a velo di Ella Fitzgerald, sorseggi di vini jazzati, salse di pomodori dub e julienne di verdure funky, dicotomie gastro-romantiche e immagini sonore, riportando il senso del gusto della vita nel piatto», scrive sul suo blog.

Qualche anno fa, nel 2015, si ammala. Il nome di ciò che gli viene diagnosticato non è affatto simpatico: Linfoma non-Hodgkin. Da interprete del cibo, da narratore di storie, filosofo del cooking show, si ritrova a leggere tra le righe della sua quotidianità: è un paziente oncologico. Da lì parte la sua nuova strada, un’avventura che si traduce in un film di rara bellezza, da quel che i primi spettatori hanno decretato. La ricerca della felicità si muove tra le corsie degli ospedali, nella solitudine di una stanza in cui affronta la debolezza e i pensieri più atroci, tra le cucine di campagna, nelle parole di amici, colleghi, artisti come Roy Paci, Paola Maugeri, Don Pasta, Simone Salvini e Diego Rossi. “Alla salute” è un docufilm, con la regia di Brunella Filì, scritto insieme ad Antonella Gaeta, prodotto da Officinema Doc con Nightswim, ed è sostenuto da Apulia film commission e Istituto tumori “Giovanni Paolo II” di Bari. Le musiche sono firmate da Vincenzo Deluci e Gabriele Panico, con la partecipazione speciale di Roy Paci.

Lo scorso 15 giugno “Alla salute” partecipa al Biografilm Festival, vincendo due premi. Abbiamo intervistato telefonicamente Nick, che ci ha donato qualche minuto del suo tempo.

Scoprire una malattia è un momento forte, un tempo di cambiamento, ma quando hai avuto l’idea di dover trasformare quel momento in questo film?

Il momento della malattia serve a ricentrare, a guardare tutto diversamente. Quando si deve guarire non deve guarire solo il corpo. Si è attivato un processo strano. Iniziare a girare è stato un mezzo per fare terapia. Ho capito che riprendere tutto, documentare tutto potesse essere un mezzo anche per altre persone. L’idea era proprio quella di un documentario per altre persone che si fossero scoperte malate. Ho scelto di girare, di filmare e non di scrivere perché nella scrittura rileggi, controlli, censuri, modifichi. Le immagini sono oneste: violenza è violenza, tristezza è tristezza, felicità è felicità.

Ok, ma immagino non sia stato semplice anche muoversi con una telecamera in un luogo come l’ospedale

Infermieri e medici erano sorpresi, all’inizio molto distanti, ma quando hanno compreso che quel mezzo potesse essere esso stesso un modo per fare terapia si sono messi in gioco. La malattia si affronta in modi diversi, ognuno con il proprio, capisci che tutto è lì, le carte non puoi cambiarle, puoi solo decidere come giocartele. In questo periodo ho perso anche mio fratello, alla cui memoria è affidato questo film. Non tutti ce la fanno, magari alcuni non hanno gli strumenti o non vogliono vederli per giocarsi bene questa mano che la vita ti mette davanti. L’attitudine che si ha e la fortuna cambiano le cose.

Quindi non è solo un film

Per me è stato un modo per avere un documento tra le mani, è un’eredità che resterà fino alla fine dato che non sappiamo, non so, quando e se sarà battuta la malattia. Tutt’oggi ho controlli trimestrali.

E questa felicità che cercavi? Oggi hai una ricetta da darci?

(Ride) La felicità. Essere vivo è già felicità. Dicevo dell’attitudine. La felicità è sorprendersi della granella di mandorle sulla panna quando chiedi un gelato. La granella di mandorle non richiesta, quella è felicità. Una piccola cosa non richiesta, un’attitudine nel vedere le cose in maniera nuova.

Due premi al primo festival cui avete partecipato

Aver vinto Premio giuria e Premio del pubblico è stato un momento di grande gioia. Spesso pubblico e giuria si ritrovano su pareri discordanti e averli raccolti entrambi significa aver toccato due canali differenti. Il film ha grande ironia, è duro ma ci si diverte in qualche maniera.

Nick Difino, quanto è cambiato dopo la malattia?

Oggi ho più difficoltà a lavorare. Cerco di andare a fondo sul senso, dopo la malattia non riesci più a stare in superficie. Il modo cazzone di fare le cose svanisce, oggi ho difficoltà, lo ammetto. Sta cambiando la forma, la struttura dei miei spettacoli, è cambiata anche la scrittura, tutto. Nulla è più come prima. Iniziare a perdere capelli, peli, è anche renderti conto che stai reimparando qualcosa. Vivi una nuova adolescenza, è una rinascita e impari a vivere con un substrato diverso.

La parmigiana. Oggi resta questo il tuo piatto preferito?

(Ride ancora) Subito dopo la terapia ho girato un documentario sul cibo. Io vivo il cibo per quello che è: un alimento per il corpo. Amo i piatti in base al luogo in cui sono e al tempo in cui esisto come uomo. Amo la parmigiana ma oggi ti direi che ci starebbe bene anche un bel piatto di spaghetti con i fagiolini.

Il film sarà nelle sale in inverno, per il momento godetevi il trailer cliccando qui.

lunedì 25 Giugno 2018

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