Attualità

“Panzerotti bites”: Brooklyn impara a mangiare pugliese

Elena Albanese
Pasquale De Ruvo e Vittoria Lattanzio ci raccontano la loro avventura americana fatta di amore, coraggio e determinazione: «Se ti tuffi e non tocchi devi saper nuotare»
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Di loro ha persino scritto il “New York post”, che in un articolo del 31 dicembre scorso ha annunciato l’apertura, a Brooklyn, di “Panzerotti bites, oasi di bontà pugliese tra i grattacieli della Grande Mela inaugurata domenica.

Stiamo parlando di Pasquale De Ruvo – con un cognome che ne rivela la provenienza – e di sua moglie Vittoria Lattanzio, bitontina. 35 anni lui, 26 lei, si sono conosciuti «davanti a una tazzina di caffè», stanno insieme da 8 anni e si sono sposati qualche mese fa, quando l’idea che avevano in mente da tempo stava già prendendo forma da un po’. «Siamo venuti diverse volte negli Stati Uniti, sono sempre stati un’attrattiva per noi, e ci siamo resi conto che il panzerotto non c’era – raccontano a RuvoLive.it, raggiunti telefonicamente tra un’ordinazione e l’altra -. Gli americani amano e sanno scegliere la cucina italiana, anche venduta come street food».

Ma rendere il sogno una realtà non è facile. Ci vogliono pazienza, coraggio, determinazione e apertura mentale. «Qualunque cosa tu voglia realizzare qui, ha bisogno di step. Serve innanzitutto un business plan, che è un documento di 40 pagine redatto – a pagamento, come tutto del resto – da un’agenzia che si occupa di internazionalizzazioni aziendali. Noi l’abbiamo chiesto nell’estate 2016 e ci è stato consegnato a gennaio 2017. In quei mesi abbiamo dovuto reperire molte informazioni sull’attività che avremmo aperto: food cost, scelta delle materie prime, budget, target di riferimento…

È una condizione che psicologicamente ti distrugge, perché non siamo preparati a tanta pressione, a tanto stress». Ma non li ha fatti mollare. «Se ti tuffi e non tocchi devi saper nuotare», afferma saggiamente Pasquale. Così si sono guardati negli occhi e si sono detti: «Con i nostri risparmi o compriamo casa, oppure facciamo come abbiamo sempre fatto: investiamo nel nostro cervello per poter continuare a imparare qualcosa da ogni esperienza».

Oggi condividono l’appartamento con una coppia composta da un’americana e da un giapponese. Cucinano italiano per loro, mangiano tacchino per il Ringraziamento e si fanno insegnare a preparare il sushi. Si sentono liberi, anche se hanno dovuto sacrificare gli affetti più cari, quelli che un italiano, specie meridionale, ama di più. «Mi manca il gatto, figuriamoci i genitori…».

Ma ne è sicuramente valsa la pena, perché i loro sacrifici, le loro paure e le loro speranze oggi si sono trasformate in un elegante locale in Smith Street, curato nei minimi dettagli, con quadri alle pareti che raccontano la Puglia e un trullo salvadanaio per le mance. Ci sono alcuni tavoli, due banconi e un bell’angolo con un divano, su cui poter gustare un panzerotto al volo o comodamente seduti. C’è quello tradizionale, «che va per la maggiore», con mozzarella, tomato sauce and oregano. Agli oriundi piace molto anche quello col salame piccante, ma sono previste ricette gourmet e sweet, queste ultime lavorate con un impasto di latte di soia alla vaniglia e zucchero di canna.

Tutte variazioni sul tema forse più classico della pugliesità, che rimane il fil rouge di questa bella storia. Perché gli ingredienti sono tutti di alta qualità e made in Italy. E la gente se ne accorge. «The dough is different (l’impasto è differente, ndr)», si stupiscono gli americani che vincono l’iniziale diffidenza nei confronti di ciò che non conoscono, si avvicinano alla cucina a vista, guardano la preparazione e mentre assaggiano fanno un sacco di domande. Il panzerotto viene fritto in olio di canola alto oleico totalmente vegetale, il quale evita anche il cattivo odore che alle volte si può sprigionare dalla frittura.

L’inaugurazione e le prime due giornate sono andate bene – «sono venuti un sacco di italiani» – e l’ottimismo è d’obbligo («Siamo arrivati fino qua…»). Al momento da “Panzerotti bites” ci lavorano in sei. Pasquale sta in cucina; Vittoria, con una laurea in Lingue e un Master in Export management, in cassa. Tutto lascia presagire che “the best is yet to come“, come si dice da queste parti. Anche la fine della nostra intervista telefonica. Mentre mi salutano, sento già chiedere: «One classic, ok?».

martedì 9 Gennaio 2018

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