Attualità

Daniela Ciliberti, amica dei bambini

Elena Albanese
​Coordinatrice di AiBi in Marocco, vive a Rabat da dieci anni e si occupa di infanzia abbandonata. «Non so dove mi porterà la vita tra dieci anni, ma spero di essere in un posto dove sarò felice​»​
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Ho intervistato per la prima volta Daniela Ciliberti nel lontano 2007, quando – giovanissima – si è approcciata a quello che sarebbe stato il suo lavoro affrontando con coraggio un anno di Servizio civile all’estero con i bambini più sfortunati del Perù.

Oggi Daniela è ancora quella ragazza coraggiosa e altruista, ormai diventata donna, solo con più esperienza, che mette sempre a disposizione dei più deboli. Vive a Rabat, dove è coordinatrice per il Marocco di AiBi, Amici dei bambini, associazione italiana che si occupa di adozioni internazionali, ma non solo. «Ormai sono passati più di dieci anni da quando sono arrivata qui», mi racconta. «Mi occupo sempre di bambini abbandonati, e da poco anche di minori in contatto con la legge. Sempre dure, durissime realtà, che mi spezzano il cuore ma che non mi consentono di mollare, mai. Non si può mollare quando si tratta di bambini.

I minori abbandonati in Marocco sono spesso il frutto di relazioni sessuali avvenute al di fuori dell’ambito matrimoniale, altre volte sono orfani o provengono da famiglie che versano in una situazione di vulnerabilità sociale. Sono destinati a passare tutta la loro infanzia e giovinezza in un orfanotrofio, con poche possibilità di tornare a vivere con la famiglia d’origine o di trovare una famiglia sostitutiva tramite la kafala (l’adozione islamica). Le stigmatizzazioni che vivono sono tantissime e se le portano dietro per molto tempo. Quando, al raggiungimento della maggiore età, devono uscire dal sistema di protezione dell’infanzia, subentrano tutte le problematiche relative alla ricerca di un lavoro e di una stabilità economica che permetta loro di vivere degnamente e di crearsi un futuro. In tutto questo rientra il mio lavoro e della mia associazione, in partenariato con varie altre associazioni locali, che si occupano ad esempio di madri nubili, in un’ottica di prevenzione dell’abbandono attraverso l’autonomizzazione socioeconomica delle madri e la mediazione familiare. Accompagniamo le associazioni che gestiscono gli orfanotrofi attraverso vari progetti, tra cui il sostegno a distanza, che ci consente di migliorare la presa in carico dei minori ospiti, di fornire servizi che vanno dall’accompagnamento psicologico, al gioco, alle arti plastiche, alla musica…e lavoriamo anche sul percorso di uscita dei ragazzi che si avvicinano ai 18 anni o che li hanno già superati, affinché possano trovare un lavoro e dunque avere tutte le condizioni necessarie a uscire definitivamente dall’orfanotrofio, che è l’unica casa in cui hanno vissuto fino a quel momento, e i cui educatori, direttori, operatori, rappresentano l’unica famiglia che hanno.

Accanto a tutto questo, lavoriamo molto sulla sensibilizzazione rispetto alla kafala a livello nazionale, perché consideriamo che il posto migliore per la crescita e lo sviluppo di un bambino sia la famiglia; e sulla lobbying per il miglioramento delle politiche pubbliche e delle leggi relative all’infanzia».

Una bella responsabilità, insomma. «Il percorso da compiere è ancora lungo – ammette -, convincere i decisori a fare delle scelte sui temi relativi all’infanzia e soprattutto a quella più vulnerabile non è semplice, ma siamo sulla buona strada. Il dialogo con le istituzioni, che quando sono arrivata era praticamente impossibile, ora è qualcosa di tangibile e speriamo si rafforzi sempre di più per il bene dei bambini, che rappresentano il futuro di tutte le nazioni del mondo, e che hanno bisogno dell’impegno degli adulti ora».

A fine marzo, papa Francesco ha fatto visita alla capitale del Marocco. Le chiedo se l’ha visto e quanto gli è stata vicina.

«Ho la fortuna di vivere in centro e la domenica mattina stavo uscendo come sempre per andare a prendere un caffé e fare una passeggiata. Prima di uscire di casa ho ricontrollato il programma delle visite e mi sono accorta che alle 10.30 il Papa sarebbe arrivato in Cattedrale, a cinque minuti a piedi da casa mia. Non ho resistito e ho fatto un giretto. Rabat era così bella e silenziosa, dormiva ancora a quell’ora…normalmente la domenica é più calma del solito e non circolano troppe auto, in più per le misure di sicurezza – tra divieti di transito e di sosta – lo era ancor di più. Ho passeggiato fino alla Cattedrale. Anche se non lasciavano avvicinare le persone sulla piazza della chiesa ho fatto in tempo a dispormi sul ciglio della strada, cinque minuti dopo un corteo imponente ma silenzioso ha fatto capolino ed é arrivato, sono riuscita a scorgerlo appena dal finestrino aperto dell’auto sulla quale viaggiava, una semplicissima utilitaria nera.

Poche ore dopo l’ho visto da parecchio vicino, ero in una buona posizione all’interno del palazzetto, al lato destro del palco e quindi a pochi metri di distanza da lui», sventolando una bandiera italiana. «Lì per lì non mi rendevo molto conto, ma quando ho rivisto le immagini da casa mi sono accorta che eravamo davvero in tanti (le stime dei giornali locali oscillavano dalle 10mila alle 15mila persone) e non tutti hanno avuto la fortuna di vederlo da così vicino!».

Qual è stato il momento più emozionante? «Non c’é stato un momento preciso…non so perché, ma a me é proprio la sua persona ad emozionarmi!».

Al termine dell’intervista, le chiedo di lanciare uno sguardo al futuro, ai sogni realizzati e a quelli ancora da realizzare.

«Posso ritenermi soddisfatta per aver raggiunto tanti traguardi importanti nel mio lavoro, ma restano ancora svariati sogni che vorrei realizzare, sia per i bambini di cui mi occupo qui che per me stessa. Rabat é ormai la mia seconda casa, é vero, ma ogni tanto ci penso a spostarmi altrove, é un progetto familiare…non ci precludiamo nulla.

Non so dove mi porterà la vita tra altri dieci anni, ma spero di essere in un posto dove sarò felice…magari facendo il giro del mondo in camper!».

domenica 19 Maggio 2019

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