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Royalty sulle nuove varietà di uva da tavola, l’allarme di Cia Levante

La Redazione
​Paesi come Israele, Cile e Stati Uniti​, che hanno brevettato i loro prodotti agricoli, ne pretendono il pagamento da parte degli agricoltori. Il problema in Puglia riguarda anche pesche e agrumi​
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«La questione delle royalty da pagare sulle nuove varietà di uva da tavola sta diventando una trappola silenziosa che rischia di danneggiare seriamente gli imprenditori agricoli». È quanto denuncia Cia Levante, declinazione per l’area di Bari della Cia Agricoltori Italiani, attraverso le parole del presidente provinciale Felice Ardito.

La questione è nota da tempo e riguarda tutta la Puglia: sulle uve da tavola senza semi, soprattutto, ma anche su moltissimi prodotti ortofrutticoli e agrumicoli, negli ultimi tempi si sta giocando una vera e propria “guerra dei brevetti”. In alcuni Paesi, come Israele, Cile e Stati Uniti, la ricerca scientifica ha prodotto nuove varietà di frutti. La proprietà intellettuale di quelle produzioni implica il pagamento delle royalty da parte dei semplici agricoltori sul territorio, non solo per avere l’autorizzazione a coltivare determinate varietà, ma anche nella successiva vendita del raccolto.

«Tornare indietro non si può – ha spiegato Giuseppe Creanza, direttore provinciale di Cia Levante – perché queste grandi realtà che producono i brevetti sono riuscite anche a imporre le nuove varietà sul mercato mondiale». In parole povere, le varietà tradizionali, quelle per cui non serve sottostare al regime delle royalty, non hanno più mercato, perché sono progressivamente sostituite dalle nuove. Di fatto, agli agricoltori viene imposto anche a chi vendere. Un’imposizione che, se elusa, può avere conseguenze estreme, fino al taglio delle viti. In sostanza, per poter coltivare le nuove varietà, l’azienda agricola deve sottoscrivere un contratto che la vincola non solo a pagare le royalty, ma anche a vendere e commercializzare l’uva solo attraverso uffici della società che detiene il brevetto vegetale. «In pratica si diventa “succursali”, una sorta di franchising, con qualcun altro che è padrone in casa nostra, di fatto titolare del destino di ogni politica commerciale e di vendita, che decide al posto dell’agricoltore come e quanto coltivare e quale reddito deve andare a chi investe e lavora sul campo, si accolla il rischio d’impresa, paga fior di euro per assicurare i propri vigneti e li cura», ha aggiunto Creanza.

Condizioni capestro, un vero e proprio giogo che appare inaccettabile e lesivo della libertà d’impresa. Le royalty, in questo modo, sono pagate più e più volte, lungo tutto l’arco della fase produttiva dalla sottoscrizione del contratto fino alla commercializzazione e vendita. «Le OP, Organizzazioni di produttori – ha spiegato Sergio Curci, responsabile Gie Ortofrutta per Cia Puglia – per come sono organizzate in Italia e in Europa, sono fatte fuori dal sistema: gli agricoltori non sono liberi né di coltivarle né di piantarle, se non si assoggettano ai contratti capestro e a un sistema delle royalty che non è affatto trasparente. In Spagna hanno affrontato il problema istituendo una società di Stato che gestisce i brevetti vegetali. In Puglia, un gruppo di produttori si sta organizzando per affrontare anche dal punto di vista giuridico la questione. È un problema che riguarda tutta Italia e che, nella nostra regione, interessa non solo l’uva ma anche le pesche, i prodotti agrumicoli e diverse specie di frutta.

È una situazione che colpisce duramente anche i vivaisti, quelli che un tempo lavoravano con gli innesti. Fino a qualche anno fa, infatti, eravamo produttori di varietà “selvatiche” e di innestati. Ora, con i brevetti, è cambiato tutto. Come Cia Puglia chiediamo che il problema sia affrontato sia a livello nazionale che regionale dalle istituzioni, a cominciare da Governo centrale e Regione Puglia, perché in questo modo stiamo svendendo la nostra sovranità pezzo per pezzo, contratto dopo contratto, mettendo a rischio il futuro dell’agricoltura e mortificando la libertà d’impresa che ha sempre caratterizzato il comparto primario, oggi schiacciato non solo dalla parte industriale e dalla Grande Distribuzione ma anche dalle grandi multinazionali dei brevetti vegetali che, in questo modo, decidono a migliaia di chilometri di distanza come i nostri agricoltori devono portare avanti le loro aziende», ha concluso Curci.

domenica 11 Agosto 2019

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