Cultura

Viaggio alla scoperta di Mauro Grumo

Marino Pagano
«Nel mio lavoro di umilissimo pittore sento che c'è qualcosa che mi appartiene come memoria; per cui sento, imprescindibile, la spinta e l'urgenza a partecipare alla vicenda umana che mi coinvolge»
scrivi un commento 684

Un grande artista dalle origini bitontine è di scena a Ruvo di Puglia. Parliamo di Mauro Grumo, pittore dalla figurazione in ricerca e sensibile, nella sua vita, a una costante rivisitazione del suo pensare e fare pittura. Proprio per questa messa in crisi di ogni scuola, la sua pittura diventava arte. Arte completa.

Mauro Grumo, nato a Bitonto nel 1925, è mancato il 10 marzo del 2010. Legato a Ruvo, paese di convinta adozione, non ha mai tranciato i legami con la città degli ulivi, cui ha dedicato apprezzabili lavori e tanti paesaggi. Proprio questi ultimi capaci di riassumere al meglio i suoi densi campi di sperimentazione.

Si intitola “Mauro Grumo. Tra realtà e trasfigurazione” la rassegna ruvese, allestita alla pinacoteca comunale d’arte contemporanea, nel complesso di San Domenico, fino al 30 giugno. Già la pinacoteca, diretta da Francesco Picca, autorità in materia, vale la visita. Scrigno autentico, vanta le opere di Domenico Cantatore e di altri protagonisti dell’arte meridionale e italiana, spesso figure di spicco dello storico premio “Città di Ruvo di Puglia”, evento che sarebbe bello potesse rinascere, come auspicato da più parti. Una manifestazione che fu seconda solo al celebre “Maggio” barese degli Spizzico e di altri nomi della pittura più legati al capoluogo.

Al museo anche le opere di Michele Chieco, di origini ruvesi ma nato a Santo Spirito, in tempi in cui la marina era parte del territorio del Comune di Bitonto. Curata da Carmelo Cipriani, valente critico e storico dell’arte, la rassegna (lunedì-venerdì, 9-13; martedì-venerdì, 18-20; sabato e domenica 10-13 e 18-20) è stata inaugurata dal sindaco di Ruvo Pasquale Chieco, intervenuto con l’assessore alla Cultura Monica Filograno. Presente anche Aldo Patruno, direttore del dipartimento Turismo, Economia della cultura e Valorizzazione del territorio alla Regione Puglia. Testimonianza anche dei figli dell’artista, Francesca, Vito e Isabella; un ricordo da parte di Bianca Tragni, docente e studiosa di Altamura, già esercitatasi criticamente sull’opera di Grumo dagli anni ’70.

La mostra è stata allestita con la collaborazione della Pro Loco di Ruvo, da sempre promotrice di studi e iniziative sulle origini della città di san Cleto, fino ai primi anni ’80 legata a Bitonto a livello ecclesiale, dal 1818 comunità unite sotto lo stesso vescovo (ultimo monsignor Aurelio Marena).

Ben fatto il catalogo (Pegasus edizioni), con ricco testo introduttivo di Cipriani e foto di Andrea Melato, bravo e giovane professionista bitontino. Nelle pagine finali un’antologia critica su Grumo, con testi, tra gli altri, di Lello Spinelli, Pietro Marino, Nicola Ventafridda, Carlo Munari, Carlo Ludovico Ragghianti e Vito Cracas.

Tra le opere al museo, colpisce un “Paesaggio di Bitonto” del 1938, insieme onirico e realistico: la chiesa di Santa Teresa è appena accennata, alle spalle domina la distesa di campagne, con Palo del Colle che si scorge già. Un “Autoritratto” del 1952 rapisce il visitatore, pastello su cartoncino. Un “Paesaggio” del 1956 dice già la svolta dell’artista: il cielo è terso, domina il silenzio; così un “Paesaggio murgiano”, olio su tela del 1964. Quasi inquietanti le “Figure femminili”, del 1967: cresce l’istanza espressionista. La ritroveremo in “Figura di donna”, 1968; mentre umanissima è la “Mamma con bambino”, 1969. La cifra si decompone ed ecco un “Paesaggio” del 1970, meno realistico.

Tornano la Murgia e i cardi, pure i contadini del sud (su quest’ultimo aspetto, ecco un olio e acrilico su tela del 1971). L’umanità raccolta e raccontata persiste con gli “Uomini seduti” e i “Pensieri”: siamo negli anni ’70, Grumo conduce la decomposizione al discorso antropologico, fino ad un magnifico “Volto” di dolore, del 1974. Sagome si stagliano nell’inquietudine di una solitudine pensosa. Ne risentirà, ancora, la rappresentazione paesaggistica, ora serena e riconoscibile, ora frammentata.

Arrivano gli anni ’80 e si affacciano anche i “Sogni”, astratto acrilico, 1983. Opera davvero unica è il suo “Cristo delle Murge”, 1986: dolore e terra, crocifissione e violenza sul paesaggio, quasi un’espressiva Sindone interrata. Negli anni ’90, paesaggi più concettuali: Grumo compie i suoi percorsi e il suo stile lo afferma, lo rassegna al fruitore. Anche la critica capirà.

I cardi restano una costante “fissa” tematica. Paesaggi e cardi, può dirsi, accompagnano il suo ciclo artistico. Particolari, questi, assolutamente interessanti. Il paesaggio declina, dunque, le fasi del suo autore.

Ma leggiamo ora fondanti parole a firma diretta Mauro Grumo. Davvero illuminanti. Eccole.

«Nel mio lavoro di umilissimo pittore – scrisse – sento che c’è qualcosa che mi appartiene come memoria; memoria di fatti, di luoghi, di gente, per cui sento, imprescindibile, la spinta e l’urgenza a partecipare alla vicenda umana che mi coinvolge e a comunicare le sensazioni. Nel turbinio di fatti e di pensieri rimangono spazi oscuri alle mie angosce, alle mie tensioni, ai sogni e alle mie illusioni di individuo e spesso le inquietudini, le vertigini del pensiero e del sentimento non sono che trasfigurazioni della quotidianità, esatte categorie e adatte condizioni per la creazione artistica. Ed è questo che si deve chiedere all’arte: lo stravolgimento di tutte le nostre certezze quotidiane”.

La citazione, indubbiamente lunga, per capire Mauro Grumo, per coglierne sensibilità e intuirne l’acutezza dello sguardo. Il nostro ha dipinto fino a quando ha potuto. Arte e sacrificio. “Chiarore”, astratta immagine del 2007, la tela più vicina all’anno della scomparsa presente all’antologica.

Una biografia eclettica. Insegnante e poi laureato in scienze politiche, fu anche commercialista. La passione per la pittura ricalca un’inclinazione ancestrale, datata già all’infanzia e poi a quando, giovanissimo, frequentò e conobbe il pittore abruzzese Federico Spoltore, di Lanciano (se passate dalla cittadina, non mancate la visita al museo intestato all’artista).

Da lì, gran carriera tra mostre nazionali e internazionali. Parteciperà proprio al “Maggio” e poi al premio ruvese di cui si è detto. Segretario a Bari del Gruppo nazionale artisti autonomi, nel 1968 si aggiudicò il “Domenico Caldara” di Foggia, riconoscimento in onore del noto pittore di corte Borbone, originario della città dauna ma nato da genitori baresi.

Ha esposto ad Atene, Parigi, Biarritz (paese francese di cultura basca). Sue opere a New York, Mosca, Stoccolma, Madrid, Roma.

Ha vissuto fino all’ultimo a Ruvo, città che ha amato e cui ha donato tantissime sue opere e che così, con questa degna rassegna, lo ha ora onorato.

Un figlio di questa terra assolata di Murgia, Mauro Grumo. Un nome che anche Bitonto non può e non deve dimenticare.

venerdì 16 Giugno 2017

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti

Le più commentate della settimana