Cultura

“A voce alta”…per non dimenticare

Veronique Fracchiolla
Veronique Fracchiolla
​Mai, come in questi tempi, è necessario non dimenticare. Rapporto Italia 2020 Eurispes: nel 2004, il 2,7% degli italiani pensava che la Shoah non fosse mai avvenuta; oggi si sale al 15,6%
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A voce alta. Nelle piazze, nei negozi, nei centri culturali, in biblioteca, negli uffici pubblici. Bambini, ragazzi, giovani, adulti.

Nella Giornata della Memoria, lo scorso 27 gennaio, che commemora le vittime della Shoah le parole sobrie e penetranti di Primo Levi; il dolore e la paura della tredicenne Liliana Segre; le riflessioni profonde della giovane Anna Frank; il “Canto del popolo yiddish messo a morte” di Itzhak Katzenelson, e la disperazione, un barlume di speranza nella “bontà dell’uomo” si sono diffuse, in oltre trenta spazi pubblici.

Nella “Ruvo Città che legge”, migliaia di pagine di diari, saggi, romanzi, racconti, biografie sono state sfogliate, a volte accarezzate da una lacrima per quello che “è stato”. Alcune di queste parole sono state affisse sui muri, ovunque: è stata la “guerrilla” condotta dal GiovanIdee Forum per “non dimenticare”.

Alla “Maratona per la Memoria”, voluta dall’Assessora alla Cultura Monica Filograno con il supporto delle associazioni e delle scuole che aderiscono al Patto per la Lettura, hanno partecipato tante persone che hanno letto per non dimenticare e non far dimenticare. E mai, come in questi tempi, è necessario.

Allarma quello che sostiene il Rapporto Italia 2020 Eurispes: nel 2004 il 2,7% degli italiani pensava che la Shoah non fosse mai avvenuta; oggi lo pensa il 15,6%. Aumentata anche la percentuale di chi ridimensiona la portata dell’Olocausto: dall’11,1% si sale al 16%.

Il 61% degli italiani ritiene che i recenti episodi di antisemitismo siano episodi isolati anche se 60,6% ritiene che derivino dalla grammatica dell’odio e del razzismo. Ma, come ha ricordato la senatrice Liliana Segre, nel suo discorso al Parlamento Europeo, «…il razzismo e l’antisemitismo sono insiti nell’animo dei poveri di spirito. E poi arrivano i momenti più adatti, corsi e ricorsi storici, in cui ci si volta dall’altra parte. E allora tutti quelli che approfittano di questa situazione trovano il terreno più adatto per farsi avanti».

Ma per arginare chi fa leva sulla disperazione e rabbia altrui per raccogliere consensi additando “l’altro” come il nemico, si mediti sulla rivisitazione del “monito” di Primo Levi in prefazione a “Se questo è un uomo”, fatta da Adriano Sofri e letta dall’assessora Filograno prima della Maratona serale dinanzi al Presidio della Libreria L’Agorà-Bottega delle Nuvole.

Maratona a cui hanno partecipato anche la Small Stretch Band e l’associazione musicale “Basilio Giandonato”: bande mute, per ricordare i musicisti vittime della Shoah, costretti ad accompagnare, suonando marcette allegre, i loro correligionari, ignari, nelle camere a gas; costretti a suonare per coprire gli spaventosi rumori delle mitragliatrici contro i prigionieri; costretti a suonare per allietare le feste delle SS o per accompagnare i condannati al patibolo. Loro, i musicisti, che hanno lasciato un prezioso patrimonio che confluisce nella musica concentrazionaria. Perché con la musica si riacquistava umanità e un lembo di Paradiso nell’inferno.

Questo è stato. E, spesso, questo accade ancora. Ma si può scegliere di non farlo accadere più diventando come “le farfalle gialle che volano sopra i fili spinati”, come ha detto Segre. Liberi, critici e vigili. E umani.

Di nuovo, considerate di nuovo
Se questo è un uomo,
Come un rospo a gennaio,
Che si avvia quando è buio e nebbia
E torna quando è nebbia e buio,
Che stramazza a un ciglio di strada,
Odora di kiwi e arance di Natale,
Conosce tre lingue e non ne parla nessuna,
Che contende ai topi la sua cena,
Che ha due ciabatte di scorta,
Una domanda d’asilo,
Una laurea in ingegneria, una fotografia,
E le nasconde sotto i cartoni,
E dorme sui cartoni della Rognetta,
Sotto un tetto d’amianto,
O senza tetto,
Fa il fuoco con la monnezza,
Che se ne sta al posto suo,
In nessun posto,
E se ne sbuca, dopo il tiro a segno,
“Ha sbagliato!”,
Certo che ha sbagliato,
L’Uomo Nero
Della miseria nera,
Del lavoro nero, e da Milano,
Per l’elemosina di un’attenuante
Scrivono grande: NEGRO,
Scartato da un caporale,
Sputato da un povero cristo locale,
Picchiato dai suoi padroni,
Braccato dai loro cani,
Che invidia i vostri cani,
Che invidia la galera
(Un buon posto per impiccarsi)
Che piscia coi cani,
Che azzanna i cani senza padrone,
Che vive tra un No e un No,
Tra un Comune commissariato per mafia
E un Centro di Ultima Accoglienza,
E quando muore, una colletta
Dei suoi fratelli a un euro all’ora
Lo rimanda oltre il mare, oltre il deserto
Alla sua terra – “A quel paese!”
Meditate che questo è stato,
Che questo è ora,
Che Stato è questo,
Rileggete i vostri saggetti sul Problema
Voi che adottate a distanza
Di sicurezza, in Congo, in Guatemala,
E scrivete al calduccio, né di qua né di là,
Né bontà, roba da Caritas, né
Brutalità, roba da affari interni,
Tiepidi, come una berretta da notte,
E distogliete gli occhi da questa
Che non è una donna
Da questo che non è un uomo
Che non ha una donna
E i figli, se ha figli, sono distanti,
E pregate di nuovo che i vostri nati
Non torcano il viso da voi

(Adriano Sofri)

lunedì 3 Febbraio 2020

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