Cultura

Cleto Bucci: «Ne abbiamo passate tante…passerà anche questa»

La Redazione
Il cultore di storia locale trae spunto dall'emergenza Coronavirus per una narrazione sulle epidemie imperversate in città nel corso dei secoli
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Cleto Bucci, cultore di storia locale, trae spunto dall’emergenza Coronavirus che sta riscrivendo, sia pura temporaneamente, le nostre vite per una narrazione sulle epidemie che hanno imperversato in città nel corso dei secoli.

Un racconto che è anche un incoraggiamento perché «ne abbiamo passate tante…passerà anche questa».

«Calma e sangue freddo. – scrive Bucci – Passerà anche questa se ognuno di noi farà il suo dovere.

La nostra Ruvo, al pari di molti altri paesi e città, nell’arco dei secoli, di epidemie ne ha superate parecchie. Diamo in queste poche righe qualche notizia sulle maggiori epidemie dei secoli passati che hanno colpito la nostra città.

La più grave e la più conosciuta sicuramente rimane l’epidemia di peste del 1656 che sconvolse il Regno di Napoli e ovviamente la nostra comunità. All’epoca i membri della famiglia Campanelli vennero cacciati dalle mura urbiche perché ritenuti pazienti numero zero e quindi untori di manzoniana memoria e la loro abitazione, situata in via della Fica -quella che oggi è via Fico -, venne incendiata. Ovviamente oltre alla quarantena di rito e ai molti intrugli che venivano somministrati ai malati, furono invocati i nostri santi protettori: san Nicola (patrono della Terra di Bari), san Cleto e san Biagio (rispettivamente all’epoca patrono e protettore di Ruvo). Di questa pestilenza ne hanno parlato ultimamente Francesco Lauciello su “ilSedente” e Francesco Antonio Bernardi nel godibilissimo saggio “una Strage evitata: la peste a Ruvo nel 1656” ai cui scritti rimandiamo. Della peste, comunque, Ruvo ne aveva memoria già nel 1503 quando, a epidemia conclusa, con voto unanime verso san Rocco, venne eretta una piccola chiesa a lui dedicata sullo stesso sito dov’è quella attuale.

Le epidemie hanno diversi nomi e nei secoli passati Ruvo non ne ha scampata una: peste, colera, spagnola …

Di epidemie di colera, le cronache ruvestine ne registrano diverse. Di quella del 1836 e di quella del 1837 ne da conto Giovanni Jatta senior nel suo Cenno Storico. Della prima ci racconta che essa comparve a Ruvo il giorno dopo la festa di san Rocco (prima domenica di settembre); della seconda – quella del 1837 – scrive che la nostra città fu l’ultima della Provincia ad essere toccata. Le persone attaccate dal morbo furono circa 70, delle quali ne perirono 10 o 12 soltanto. Statistica poco accurata visto che Jatta scrive da Napoli.

Del colera del 1854 sappiamo che iniziò il 3 settembre e proseguì per circa tre mesi: 76 morti su 256 contagiati.

Andò un po’ meglio con il colera del 1856 (sempre nel periodo settembre – novembre): 52 morti su 130 contagiati.

L’epidemia del 1867 iniziò in maggio per finire a giugno: il dottor Lojodice ci informa che a Ruvo si ebbero 112 morti su 275 contagiati. Poca cosa rispetto a Corato con 1335 morti su 1442 malati e a Terlizzi con 210 morti su 383 contagiati.

Ma ritorniamo a Ruvo. Durante il colera del 1886 la situazione fu davvero drammatica . Le statistiche degli Uffici Sanitari dell’epoca, le relazioni che si conservano in Archivi pubblici e privati , la descrizione di qualche storico locale sia laico che ecclesiastico ne tramandano un quadro veramente fosco e drammatico. L’epidemia lunga 73 giorni, iniziata il 24 giugno di quell’anno portò alla fine a contare 307 morti su 915 malati (Bollettino Ufficiale). Ora vorremmo dare qualche dettaglio sulle strade cittadine maggiormente colpite dall’epidemia: Via Cattedrale e via Purgatorio 11 morti su 33 contagiati; Via Modesti e san Rocco 9 morti su 34 contagiati; via s. Carlo e vicoli adiacenti 16 morti su 57contagiati; via Madonna 9 morti su 21 contagiati; via Rogliosa 12 morti su 37 contagiati; Largo Le Croci e strade adiacenti 16 morti su 47 contagiati; Via Speranza 8 morti su 26 contagiati.

E come andò con i vecchi e i diseredati della città? Scrive il dott. Lojodice: A pochi passi di là (dal cimitero – n.d.r. ) vi è l’Ospedale ed il Ricovero di mendicità, che raccolgono in media da 50 a 60 persone. Ebbene fra tutti quei vecchi ed infermi neppure un sol caso di cholera s’ebbe a deplorare. Che dire? È la resistenza dei vecchi al non voler morire.

Sempre durante il colera del 1886, sul versante religioso la situazione ebbe del paradossale. Il Vescovo mons. Luigi Bruno, peraltro molto attivo nel dare soccorso concreto ai poveri e ai malati, ritenne opportuno aggiungere al coro dei santi protettori ruvesi ( che per chi non lo sapesse oltre ai tre canonici vanno ricordati anche S. Michele e S. Antonio) una protettrice, Maria Santissima Madre della Misericordia. Nella lettera pastorale del 12 luglio di quell’anno, così annuncia:

«… che dove com’è certissimo, la nuova nostra Madre della Misericordia sarà per salvarci dal terribile flagello, noi promettiamo di prepararle un santuario di Lei degno, o restaurando convenientemente il diruto tempio della Madonna, così detta, dell’Isola o erigendoglielo dalle fondamenta; acciocché rimanga a segno dei mutui accordi stati presi tra Ruvo e la sua nuova Padrona». E all’invito del Vescovo tutti i proprietari terrieri di Ruvo si impegnarono a dare la decima parte del loro annuale raccolto per la costruzione della nuova chiesa.

Ma come sempre accade … passata la festa (pardon, il colera) gabbato lo santo (pardon, la Madonna). La chiesa non venne più costruita e tutti si scordarono della Madre della Misericordia».

venerdì 13 Marzo 2020

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Beatrice Adessi
Beatrice Adessi
4 anni fa

Bravo Cleto! E grazie di questo tuo contributo!

Luigia todisco
Luigia todisco
4 anni fa

Grande mio carissimo amico un saluto ed un abbraccio da Gina todisco

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