Cultura

​Luana Lamparelli: «Ai ruvesi dono la mia poesia»

La Redazione
​La scrittrice ruvese dedica "Del silenzio le rose" alla città, per infondere coraggio. Dice: «Nel silenzio siamo tutti poeti. Non addormentatevi»​
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La poesia è balsamo. Cura. Rinfranca l’anima. Soprattutto ora, “ai tempi del Coronavirus”, espressione vagamente ispirata al titolo del romanzo di García Márquez.

Di questa forza ne è consapevole la scrittrice Luana Lamparelli che, in questo tempo sospeso,ha voluto dedicare una lirica ai ruvesi. Per incoraggiarli e far guardare loro il mondo, il loro mondo, con occhi “freschi”.

«Quando è iniziato questo periodo di isolamento – scrive Lamparelli – che mi pare di congelamento (dei nostri sogni, dei nostri progetti, delle nostre quotidianità vissute), in una Ruvo deserta ho camminato a lungo per le strade vuote, con un desiderio preciso e scoprire l’effetto sortito nell’immediato e nel lungo tempo.

Potevamo ancora passeggiare e si poteva ancora correre.

Sole tiepido, primissime ore del pomeriggio.

Il desiderio era raggiungere, uno alla volta, i luoghi del nostro paese a me più cari, da quelli dell’infanzia, a quelli dell’adolescenza, a quelli più recenti. Come se presagissi i divieti che abbiamo avuto poi, ho voluto rivederli camminando serenamente, anche se sono cambiati negli anni. Qualsiasi oggetto o luogo resista e sopravviva al passato è prezioso, perché porta in sé qualcosa di eterno. Anche quando i luoghi cambiano in qualcosa, nella nostra mente restano quelli che erano, perché legati al nostro bisogno di identità.

Una volta, per esempio, esisteva un campo da tennis a cui si poteva accedere liberamente, scavalcando un cancello. Io e alcuni amici lo chiamavamo “il campo di fragole”, in omaggio ai Beatles che amavamo. Adesso lo spiazzale è stato riconvertito a parcheggio scoperto, le gradinate demolite, ma il cancello è sempre basso, facile da scavalcare, anche solo con uno sguardo. L’ho rivisto, appunto, durante quella passeggiata. Quanti di voi hanno dei luoghi cari, là fuori, che hanno accompagnato momenti indimenticabili? Quanti di noi avvertono prepotente la mancanza della nostra Cattedrale, del nostro centro storico, dei nostri luoghi di ritrovo vivi e pieni di voci? Quanti momenti rivivono solo guardando i luoghi della nostra storia?

Pochissimi giorni dopo c’è stato un nuovo decreto, sono iniziate le vere restrizioni. Ho avvertito per la prima volta un forte senso di smarrimento. Credo che in questo momento condividere il senso di impotenza e smarrimento che proviamo sia anche un gesto per incoraggiarsi, sentirsi meno soli. Molti mi hanno confidato persino di piangere di nascosto. Allora ho deciso di realizzare le dirette su Facebook, ogni weekend, per arrivare nelle case dei ruvesi o baresi (non degli italiani perché quelli sono della Cuccarini), e infondere coraggio, far sorridere, provare a raccontare di libri che fanno viaggiare davvero, o delle tradizioni di Pasqua del nostro paese, improvvisando molto.

Domenica scorsa, però, non avevo voglia di parlare. Ho scoperto che il senso di smarrimento in me si era totalmente dissolto, che c’era silenzio e che rifiorivano ricordi piacevoli, momenti e luoghi che sono lì, fuori dalle nostre case, e che sicuramente ci attendono se saremo capaci di superare questa difficoltà imparando la lezione. Che è soprattutto una lezione sulla responsabilità e sul senso di appartenenza: noi apparteniamo a questa terra, a questo pianeta, non il contrario, per questo dobbiamo imparare a rispettarla. È l’insegnamento degli indiani d’America.

Nel silenzio, domenica, mentre guardavo fuori dalla mia finestra, ho ricordato dei versi che avevo messo da parte. Li ho scritti nel 2019, quando ho fatto un’esperienza molto forte legata all’incomunicabilità. Una sera, attraversando un giardino poco illuminato, una rosa si era imposta alla mia vista: era alta, sola, sovrastando tutto riluceva nel suo colore delicato. Quella sera, quella rosa mi ha incoraggiata ad affrontare di petto quell’incomunicabilità, a non sentirmi sconfitta nonostante tutto.

Nascono allora queste parole; voglio dedicarle alla mia Ruvo, adesso.

Adesso che deviamo le nostre traiettorie se camminiamo nella stessa direzione; adesso che abbiamo bisogno di riconoscerci negli sguardi; adesso che dobbiamo fare leva sui ricordi più belli del passato e radunare i nostri desideri per evitare di scordarcene; adesso che non possiamo vivere i luoghi della nostra comunità, ma soltanto contemplarli nel silenzio, guardando fuori dai balconi, perdendoci nelle strade del nostro paese così come quando correvamo a ginocchia sbucciate da bambini; adesso che non riusciamo a comunicare, ossia a condividere davvero tutto quello che proviamo, per molte ragioni; adesso che molti non riescono a comunicare la propria condizione di difficoltà, di qualsiasi natura sia; adesso che siamo in apprensione per i nostri compaesani impegnati in prima linea, esposti al rischio molto più di chi rimane a casa; adesso non dobbiamo arrenderci.

Non voglio spiegare la poesia; quanto scritto finora vuol solo accompagnarla, spiegare lo stato d’animo e le sensazioni che mi hanno indotta a dedicarla al mio Paese, ai miei concittadini. È come se regalassi quella rosa alta e sola nel buio di un giardino, a Primavera inoltrata, che riluce della propria delicatezza: quella rosa è la Poesia.

Una precisazione soltanto voglio fare: un poeta venezuelano ha detto “Se il poeta si addormenta, si addormenta il popolo”. Chi mi conosce sa che non voglio essere definita “poetessa”: è un onore troppo alto, non mi riconosco in questa parola, io sono piccola. Anche per questo ho scelto come metrica l’ottonario, che di solito fa storcere il naso ai poeti veri. Voi però ricordate questo: nel silenzio siamo tutti poeti. Non addormentatevi!».

Del silenzio le rose

Accorciare la parola

ridurla a sguardo.

Contemplare del silenzio

le rose. Per un bacio, un

sorriso, un ricordo che

nulla possa estirpare

la mia bocca ti sia dovuta.

(©Luana Lamparelli, tutti i diritti riservati ai sensi di legge)

lunedì 6 Aprile 2020

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