Cultura

“Accoglienza. La lezione degli antichi”, una riflessione del professor Antonio Iurilli

La Redazione
​Piccolo saggio su uno dei problemi più scottanti del nostro tempo, maturata in margine a un congresso sul tema della diversità etnica
scrivi un commento 895

Il professor Antonio Iurilli dona ai lettori di RuvoLive.it una sua breve riflessione su uno dei problemi più scottanti del nostro tempo, maturata in margine a un congresso sul tema della diversità etnica, cui ha partecipato.

Il piccolo saggio si intitola “Accoglienza. La lezione degli antichi”.

«Circa tremila anni fa un gruppo di profughi imbarcatisi in Turchia approda sulle coste del Lazio. Hanno tutti negli occhi gli orrori di una lunga e sanguinosa guerra: di un estenuante assedio, di ogni genere di violenza, della morte per stenti di donne e bambini, della loro città distrutta. Hanno nell’animo l’angoscia di una traversata disseminata di consanguinei, di parenti, di amici dispersi fra i flutti del Mediterraneo. L’approdo non è meno traumatico.

Gli abitanti del Lazio li rigettano, li respingono in mare, minacciano di sterminarli come invasori. Sono i sopravvissuti alla guerra di Troia, una delle tante guerre ammantate di pretesti morali e religiosi; in realtà una guerra di conquista, come tutte, che arricchisce i mercanti di morte. Un déja vu, insomma, del nostro tempo.

A ricordare quella storia è il poema per antonomasia della civiltà letteraria dell’Occidente: l’Eneide di Virgilio. La ricorda, quella storia, non tanto per raccontare quella guerra titanica e crudele (lo aveva già fatto Omero con l’Iliade), quanto per celebrare ciò che da quell’approdo controverso scaturisce: la fondazione della più grande e duratura civiltà dell’occidente, la civiltà di Roma, grazie all’integrazione etnica e culturale fra ‘migranti’ e ‘indigeni’.

Da cantore della grandezza dell’impero di Augusto, Virgilio considera anzi quell’ibridazione multietnica fra sangue orientale e sangue occidentale un disegno provvidenziale, che integra i due mondi in una comune ‘fondazione di sangue’, e favorisce l’irradiarsi da Roma di quella pax Augustea che la successiva cultura cristiana avrebbe celebrato come voluta da Dio per accogliere la nascita del suo figlio salvatore dell’umanità e la conseguente diffusione universale del cristianesimo.

Ma il disegno “propagandistico” di Virgilio andava oltre. Celebrando l’impero di Augusto, egli celebrava di fatto l’apogeo di una cultura politica che per secoli aveva tessuto le trame del più grande impero dell’occidente attuando la sistematica ‘inclusione’ (parola à la page del nostro tempo) dei popoli conquistati; estendendo, cioè, ai ‘vinti’ il progressivo possesso della cittadinanza romana (con quel che ne scaturiva in termini di diritti e doveri), perché diventassero rinnovata linfa vitale della società civile.

Nell’Eneide, anzi, quell’integrazione è paradossalmente conseguenza del prevalere militare degli stranieri venuti dal mare. Enea, condottiero dei ‘migranti’, ha infatti il sopravvento su Turno, condottiero indigeno. Ma sono proprio loro, gli stranieri, a rinunciare ai diritti dei vincitori, e a scegliere la pacificazione favorendo l’eteroctonia mediante i matrimoni misti. Lo stesso Enea sposa Lavinia, figlia del re indigeno Latino. Ed è da questa ibridazione genetica fra sangue italico e sangue orientale (lo dice Virgilio con orgoglio romano e consapevolezza di poeta ‘cesareo’), che nasce il ‘sangue’ romano: il sangue più ecumenico dell’occidente.

Commuove il racconto di un grande storico romano, Tito Livio, che immagina i Latini e gli stranieri Troiani già schierati gli uni contro gli altri, in procinto di darsi battaglia, quando il condottiero indigeno Latino chiede al “nemico” straniero Enea il perché del loro viaggio e dell’approdo alle sue terre. Conosciutene le ragioni (ragioni di disperazione e di ansia di sopravvivenza di un popolo segnato dalla guerra), egli non esita a porgere la destra al nemico e a trasformare uno scontro cruento in un’alleanza: un’alleanza destinata a fondare la stirpe più celebre e longeva dell’antichità.

Questo lo scrivono due intellettuali romani che avrebbero dovuto avere ideologicamente a cuore, entrambi, l’esaltazione della ‘purezza’ del sangue romano in un momento in cui quel sangue celebrava il suo apogeo. E invece a loro sta a cuore dimostrare come la diversità, anche quando si presenta con lo sguardo minaccioso dell’ “altro”, è un risorsa che aiuta a valorizzare, per differenza, l’identità di ciascuno. E sta loro a cuore sottolineare anche come il riconoscimento positivo della diversità voli sulle ali della parola, della parola sofferta e misurata, non di quella ‘sparata’ come strumento di arrogante, rozza sopraffazione.

Il dialogo fra Latino ed Enea che ferma il potenziale conflitto fra due popoli è un capolavoro che dovrebbero metabolizzare, a livelli alti, i ‘sovranisti’ della nomenklatura politica nazionale, a livelli meno alti, gli assidui, rissosi parolai che imperversano (segno non trascurabile della deriva morale del nostro tempo) nelle reti televisive e nel web».

martedì 27 Ottobre 2020

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
biagia.ciliberti
biagia.ciliberti
3 anni fa

Grazie per questo contributo!
Potrei condividerlo?