Spalla

Paese che vai, focaccia che trovi

Elena Albanese
Il termine, che per noi baresi rappresenta inequivocabilmente la "ruota" saporita e unta condita con pomodori e origano, ​assume svariate denominazioni​ in base al luogo in cui ci si reca
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La scorsa settimana sono stata sul vicino Gargano per un breve weekend fuori stagione. Cenando in una delle poche pizzerie aperte, ho chiesto per mia figlia «un ciccio». La signora che prendeva le ordinazioni mi ha guardata con occhio interrogativo rispondendomi: «Cioè?». Altrettanto stupita di quanto un termine per me – barese, seppur di provincia – così usuale potesse suonarle tanto estraneo, ho provato a spiegarle: «Una pizza bianca, senza salsa e mozzarella». E lei, sollevata dalla semplicità della descrizione: «Ah, una focaccia!». E focaccia sia.

L’episodio, di per sé poco interessante, mi ha fatto però pensare a quanti significati possa avere un nome che nel mio immaginario (e in quello di altri, ma – incredibile – non di tutti!) assume inequivocabilmente le sembianze di una “ruota” saportita e unta, condita con pomodori e origano.

“E con le olive, verdi o nere che siano, con o senza nocciolo”, potrebbe aggiungere qualcuno. In effetti, parlando di territorialità, quella è la focaccia prettamente e rigorosamente barese, in genere più bassa di quella casalinga che prepara – per esempio – mia madre, morbida e spessa, adatta al taglio centrale orizzontale e alla conseguente farcitura con salumi e formaggi di vario genere (meglio però se si tratta di mortadella e provolone).

Del resto, se si fa la classica ricerca su Google, i primi risultati di ricette – da Giallozafferano in giù – riguardano tutti la focaccia bianca di origine genovese. Buona, sicuramente, ma con quel “pallore” ravvivato solo da sale e rosmarino tipico delle pietanze del nord, sempre più discrete – e se me lo consentite un po’ più tristi – della nostra variopinta abbondanza meridionale.

La stessa Wikipedia avverte che trattasi in generale di “un impasto di farina, acqua, lievito e sale, simile a quello del pane, cotto al forno o alla brace”. E fin qui, nulla da eccepire, anche se il dibattito è sempre aperto sul tipo di farina da utilizzare (molti consigliano un mix di semola rimacinata e grano tenero, a cui aggiungere una patata lessa). Ma – attenzione, perché qui viene il bello -, l’enciclopedia precisa che “pur avendo in comune gli ingredienti base, la focaccia viene prodotta in una vastissima gamma di tipi che differiscono per condimento e lavorazione, assumendo svariate denominazioni, tra le più comuni: crescenta, schiaccia, chizzuola, fogazza, torta, gastella, messinese, pinza, cofaccia, pizza e altre“. Dunque, in caso di spostamenti anche piccoli, se volete mangiare bene e a basso costo, armatevi di vocabolario o app – ammesso che esistano – di termini locali onde evitare di fare brutte figure.

Altrimenti potreste finire come me che, terrona per la prima volta a Milano, una mattina sono entrata in un bar e ho chiesto un cornetto, ritrovandomi con in mano un cono gelato, che per vergogna non ho saputo rifiutare. Perché per ottenere quello che davvero volevo, avrei dovuto più elegantemente chiamarlo croissant o brioche. Quando si dice l’importanza di imparare le lingue straniere…

mercoledì 15 Novembre 2017

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