Dopo l’intervista a Pino Minafra sulla nascita e la storia del Talos festival, ne abbiamo parlato anche con Livio, suo figlio, musicista e compositore, da quest’anno ufficialmente co-direttore artistico della kermesse.
Aveva solo 11 anni nel 1993, quando tutto è nato, ma ancora ricorda le emozioni di quella prima edizione. E non si sbilancia su quella che potrebbe essere stata la più bella delle 25 già trascorse. «È un po’ come quando hai dei figli. Non c’è il tuo preferito, e se c’è non lo dici».
Ma, come si suol dire, forse il meglio deve ancora arrivare. Il 2018 si prospetta ricco di ospiti e appuntamenti, con il valore aggiunto della danza, i cui laboratori sono curati dalla compagnia Menhir di Giulio De Leo. Ed è un classico che non si conoscano i nomi degli artisti partecipanti. Chi viene al Talos sa già (in caso contrario lo scoprirà) che «vedrà delle cose innovative, bislacche, che lo affascineranno e che non comprenderà del tutto, ma che gli lasceranno delle emozioni. Sono emozioni lontane da quelle televisive, da quelle del pop, perché sono storie autobiografiche».
Provare per credere.