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L’antica Collezione Caputi: la proposta di Mario Di Puppo e la riflessione di Francesco Di Palo

Veronique Fracchiolla
Veronique Fracchiolla
​I reperti, trovati nel fondo Caputi nell'Ottocento, confluirono nella omonima collezione acquistata da Intesa San Paolo e conservata a Palazzo Montanari, a Vicenza
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La querelle sviluppatasi intorno alla mostra temporanea dei 25 vasi della Collezione Jatta, presumibilmente per tutta la durata della chiusura per lavori di ristrutturazione del Museo che la accoglie si evolve in proposte di valorizzazione della ricchezza storico-archeologica di Ruvo di Puglia da parte di professionisti e cultori della storia e dell’arte.

L’architetto Mario Di Puppo aveva proposto di ospitare i 25 vasi e altri reperti della collezione Jatta negli spazi di Palazzo Pirlo-Rubini, che un tempo accoglievano una banca. Un luogo, quindi, idoneo a garantire la sicurezza dei tesori custoditi sempre che ci siano imprenditori o persone illuminate, mecenati interessati a investire nei lavori di adeguamento.

Una idea accantonata per i 25 vasi, ma non per altri tesori scoperti nei terreni ruvesi, quali i reperti della Collezione Caputi.

Scrive Di Puppo: «Gli spazi della ex banca a ridosso della Cattedrale potrebbero ospitare una mostra di alcuni pezzi scelti della collezione Caputi – non credo che la raccolta possa tornare totalmente e stabilmente a Ruvo di Puglia, ma sarebbe bello se restasse qui per qualche tempo».

«Per dare esecutività a questa idea è necessario contattare i vertici della Banca Intesa San Paolo e trovare i finanziamenti necessari all’adeguamento impiantistico degli ambienti. Qui habet aures audiendi audiat (Chi ha orecchie per ascoltare, ascolti)».

«È pur sempre una soluzione all’assenza del Museo Jatta; la città ne guadagnerebbe in termini culturali ed economici» prosegue Di Puppo.

La collezione Caputi, una collezione di ceramiche attiche e magnogreche risalenti al V-III secolo a.C. scoperte nei terreni di Ruvo di Puglia, iniziata dall’arcidiacono Giuseppe Caputi. La collezione è inserita nella raccolta del Corpus Vasorum Antiquorum. Attualmente è di proprietà di Banca Intesa ed è esposta a Palazzo Leoni Montanari, a Vicenza.

Circa tre anni fa, proprio nelle Gallerie d’Italia a Palazzo Montanari, fu organizzata la mostra “Le ambre della principessa. Storie e archeologia dall’antica terra di Puglia”. Il nome della esposizione derivava dal corredo funerario, ricco di ambre e vasi, di una nobildonna peuceta, risalente al VI–IV secolo a.C. e trovato nei fondi Caputi nel 1876. I vasi sono parte integrante della collezione di proprietà della Banca, mentre le ambre e altri gioielli sono custoditi nel Museo Archeologico di Napoli.

Una riflessione, profonda sia pure con vivaci citazioni a maschere del cinema e un’orgogliosa vis polemica sulle sorti delle ricchezze archeologiche ruvesi, è fatta dallo storico Francesco Di Palo, quale commento alla proposta dell’esposizione a Palazzo Pirlo-Rubini.

«Credo che lo scempio del patrimonio archeologico a Ruvo sia un qualcosa che non appartiene al passato. Anzi. Non saranno 25 vasi in gita a Bari a fare il di più…in questi anni abbiamo visto di peggio e il Museo sempre mancante di opere, anche importanti, per il business delle mostre spacciato per promozione di Ruvo.

Ripropongo a chi segue quanto scritto: questa sì che sarebbe un battaglia da fare. Sul Museo Jatta c’è una storia non scritta e se non si salva la memoria non salveremo il futuro.

“Se Giovanni Jatta senior (1767-1844), filofrancese e noto antiborbonico – come stanno oggi le cose mi verrebbe da dire purtroppo – si preoccupò sino in fondo di lasciare a Ruvo la sua splendida collezione di “anticaglie”, non altrettanto fecero molti dei suoi pur facoltosi concittadini: patrizi, nobili, preti, borghesi, proprietari terrieri, commercianti e una altrettanto abbondante pletora di figli di p*****a, si affannarono a svendere a regnicoli ed esteri i tesori che una forsennata caccia al tesoro, restituiva copiosi. Non si spiegherebbero altrimenti le centinaia di capolavori antichi disseminati non solo in Italia ma anche al Louvre, British Museum, Museo Etrusco Gregoriano o nei musei di Baltimora, San Pietroburgo, Monaco e via discorrendo.

Poi, finita la caccia grossa, la Ruvo del Novecento si è letteralmente mangiata, con forsennata voracità, la Ruvo peucezia e romana e scoperte eccezionali sono state inghiottite e per sempre distrutte dal progresso, cioè dall’espansione urbana fatta di palazzoni inguardabili che, posti in fila sovietica, hanno cancellato per sempre anche il dolce e suggestivo profilo della città medioevale e moderna. Quanto si è salvato da questa sistematica e incontrastata attività di edilizia speculativa è finito nei depositi della Soprintendenza per essere nuovamente sepolto sotto il velo della dimenticanza. Ora, la bella notizia che molti reperti saranno “dissepolti” dai depositi e ritorneranno a Ruvo non riesce a lenire in me e in molti miei corregionali lo sdegno per la politica di spoliazione che in maniera silenziosa e subdola, nel più assoluto disinteresse anche delle Istituzioni, ci ha in tempi recentissimi – privato di pagine essenziali della nostra storia.

In poche parole chi vuole avere contezza della civiltà precristiana ruvestina, oltre che a Napoli, deve andare a Milano, Civiche Raccolte al Castello Sforzesco, dove è confluita per acquisto la Collezione La Gioia.

Se posso anche comprendere che la Regione Lombardia esponga in Lombardia ciò che ha acquistato e che, con ogni evidenza, la Regione Puglia non ha saputo tutelare (con mio avallo Cetto la Qualunque avrebbe scandito: “bastasi”) non posso accettare che la splendida Collezione Caputi, dalla storia recente assai complessa, acquistata dalla Banca Intesa San Paolo, faccia ora bella mostra di sé, al di fuori di ogni legame culturale e territoriale, in quel Veneto che, dimentico della storia di sacrifici ed emigrazioni della sua gente, rivendica, per bocca dei suoi esagitati politici, la secessione dai “fannulloni del Sud”.

Tra i capolavori assoluti della Collezione Caputi la splendida “hydria kalpis” attica con scena di vasai all’opera.

Come sia possibile che, ancora ai nostri giorni, nell’insensibilità generale, il Sud venga spogliato della propria storia, dignità è bellezza, proprio non riesco a comprenderlo e ad accettarlo. E che alle istituzioni e a qualche politico intelligente non sia venuta la voglia di fare pressione sul noto istituto bancario perché un tale patrimonio di civiltà terrona fosse rimasto al Sud, nei luoghi e tra la sua gente del Sud. Ho già detto: non metto in discussione l’acquisizione della Collezione – sulla quale ci sarebbe pure da discutere – ma la scelta della Banca di trasferire la collezione al Nord.

Ma lo stesso colosso bancario non raccoglie i risparmi anche del Sud, non agisce con i propri sportelli in Terronia, non vive e non progredisce grazie anche ai nostri concittadini?

Perché, anziché trasferirla a Vicenza, non ha lasciato in Puglia la Collezione Caputi?

Pur rimanendo nella legittima proprietà avrebbe potuto allestire qui, nei luoghi in cui tale bellezza è stata prodotta, il Museo, contribuendo in maniera determinante alla crescita culturale e turistica dei territori e non alla spoliazione degli stessi. Invece tocca assistere a decine di eventi, anche bellissimi, che, facendo leva sulla nostra “grande bellezza” avvengono al di fuori della terra della “grande bellezza”, a vantaggio dell’economia, della cultura, del turismo di quel Veneto che, lasciatemelo dire, al tempo in cui fioriva la nostra civiltà, si arrabattava sulle palafitte. Non voglio rivendicare nulla e nessuna rivendicazione al contrario, ma la storia questo ci insegna.

Avrebbe chiuso, urlando, Cetto: “bastasi!”».

lunedì 30 Novembre 2020

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